Il viaggio del buono scuola, episodio #1.
Da Milton Friedman al Chile.
In questo articolo, e nei prossimi, parliamo di scuola e di libertà di scelta.
Immagina: lo Stato non fa più differenza tra scuola pubblica e privata. Ti dà un budget. Un buono. E dice: 'Questi sono i soldi. Ora vai, e trova l'istruzione migliore per tuo figlio o tua figlia'.
Si tratta di innovazione o stiamo rendendo la scuola un "supermercato"?
Questa idea, che sembra uscita da una startup della Silicon Valley, nasce in realtà più di 70 anni fa. La teorizza un premio Nobel, la attua un dittatore, e arriva anche in Europa. Con interessanti esperimenti, catastrofici disastri e lungimiranti visioni.
In questo articolo, che è il primo di una serie, iniziamo a ripercorrere il lungo viaggio del buono scuola partendo da Milton e Pinochet.
Tieniti forte: non mancheranno i colpi di scena.
L'idea di Milton Friedman del "buono scuola"
Anno 1955.
L'economista e premio Nobel Milton Friedman, nel saggio The Role of Government in Education, propone di istituire il buono scuola. La sua non era una crociata per smantellare lo Stato. Al contrario, Friedman sosteneva che lo Stato dovesse finanziare l'istruzione per garantire una 'società stabile e democratica', separando però il finanziamento dalla gestione.
Cosa significa? Semplice: lo Stato paga, ma senza necessariamente farsi carico di gestire le scuole e il loro operato.
Un'idea che all'apparenza potrebbe sembrare potente, ma lo stesso Friedman, con una lucidità quasi profetica, già al tempo mise in guardia da tre rischi.
Primo: occhio ai monopoli, specialmente nelle aree rurali.
Secondo: occhio al potenziale fallimento nel trasmettere valori comuni.
Terzo, il più devastante: la preoccupazione che questo sistema potesse "esasperare le distinzioni di classe".
Senza neanche saperlo, Friedman aveva già identificato il grande lato oscuro del buono scuola.
Basta attendere una trentina d'anni per averne la dimostrazione.