Difficilmente attuabile, ma non impossibile
In questo ultimo decennio, sia a livello nazionale sia comunitario, si cerca in diversi modi di "inserire" il pensiero imprenditoriale all'interno delle scuole. Lo dimostra il framework EntreComp redatto dall'Unione Europea (2016); lo dimostrano l’ex Alternanza scuola-lavoro, oggi chiamata Percorsi per le Competenze Trasversali e per l'Orientamento (PCTO) e l’esistenza dell'Impresa Formativa Simulata (che permette alle scuole di creare aziende virtuali in rete, simulando attività imprenditoriali in un ambiente controllato).
Data questa spinta verso la dimensione imprenditoriale, mi domando: perché in Italia non si prova a integrare anche il progetto SEC? Immaginiamo che un intraprendente docente edunauta decidesse di voler applicare al programma. Quali barriere dovrebbe superare?
Costi. Avviare un'impresa, per quanto piccola sia, richiede un minimo di capitale iniziale. Materie prime, qualche attrezzo/strumento. Problema affrontabile, specialmente se si tratta di micro-imprese.
Spazi. Servirebbero luoghi fisici, da occupare per lunghi periodi, messi a disposizione dalla scuola. Problema, anche in questo caso, abbastanza gestibile.
Tempo. Qui arriviamo a un problema sostanziale. Partecipare al SEC implicherebbe studio aggiuntivo e lavoro extra-scolastico. Dove trovare questo preziosissimo tempo tra lezioni, colloqui, consigli e collegi, verifiche da correggere e impegni personali? Lo stesso vale per studenti e studentesse: come convincerli a dedicarsi al progetto dopo ore di scuola e di studio pomeridiano, rinunciando ad altre attività?
Questo mi porta a una prima riflessione: se si volesse partecipare al SEC non basterebbe la leva potenziale dei profitti. Servirebbe una gigantesca motivazione nei partecipanti tale da giustificare tutti gli sforzi e gli impegni richiesti. Le mini attività imprenditoriali dovrebbero intercettare bisogni reali di chi le gestisce, ad esempio focalizzandosi su temi legati all'inclusione, all'equità, al benessere psicofisico e alla tutela delle minoranze e di altre classi svantaggiate (anche se non è un percorso imprenditoriale, penso al progetto MABASTA, nato da una volontà collettiva di affrontare il problema del bullismo).
C'è poi un'ultima barriera, ancora più vincolante delle precedenti: le implicazioni legali e fiscali. La scuola italiana, in quanto ente pubblico, non è strutturata per operare come un'entità commerciale. Chi si assume la responsabilità legale e civile del progetto? Se qualcosa va storto, se c'è un piccolo infortunio, chi risponde legalmente? E poi, come gestire eventuali profitti? Quali tasse da pagare, quante? Sembra proprio che ci si ritroverebbe davanti a un difficile ginepraio legale.
Ci sono soluzioni?
Forse sì, sperando di non stare sognando a occhi aperti.
Penso alla creazione di un'entità legalmente separata dalla scuola, una fondazione o una cooperativa, che si assuma il rischio e gestisca le parti più delicate dell’attività. La immagino come una sorta di ente supervisore, in grado di garantire copertura legale, assicurativa, fiscale, al quale potessero affidarsi non soltanto le mini-imprese di una scuola, ma che operasse su territorio regionale.
Penso anche - ragionando più in piccolo - che si potrebbe iniziare limitando le attività a vendite interne alla comunità scolastica o a prodotti e servizi legati a cause sociali specifiche. In questo modo i ricavi potrebbero essere qualificati legalmente come raccolta fondi o contributi liberali, entro certi limiti ovviamente. Si manterrebbe l'esperienza della gestione finanziaria reale, ma in una forma amministrativamente più snella e compatibile.
Prima di partire, occorrerebbe compiere attente analisi, dialogare con dirigenti, confrontarsi con avvocati, commercialisti e altri esperti del settore. Un carico di lavoro importante, che non può ricadere sulle spalle di un'unica persona. Servirebbe una massa critica di persone che - mi ricollego al triangolo del fuoco - fungesse da combustibile, scorgendo nel SEC l'opportunità di fare scuola in maniera più attiva e di uscire, a tratti, dalle lunghe spiegazioni frontali e da un'idea di scuola ancora troppo trasmissiva e passivizzante.
Chi si vuole lanciare in questa impresa?