Il viaggio del buono scuola, episodio #2.

Dalle stelle alle stalle: il caso svedese 

Per decenni, la Svezia è stata un modello da replicare. 

Il suo sistema scolastico era il fiore all'occhiello del modello socialdemocratico: un'architettura istituzionale progettata non solo per dare a tutti e a tutte le stesse opportunità, ma per perseguire attivamente l'uguaglianza dei risultati. Un'opera deliziosa di ingegneria sociale ed educativa.

Poi, all'inizio degli anni '90 arriva il voucher, proprio quel voucher di cui abbiamo già parlato nell'episodio # 1, e la Svezia diventa un laboratorio a cielo aperto per un'idea radicalmente opposta. Da quel momento cambia tutto.

Eccoci arrivati al secondo episodio del viaggio del buono scuola. Cambiamo continente, cambiamo paese. Ma le sorprese, anche qui, non mancheranno.



Prima della riforma: un'architettura dell'uguaglianza

Per capire la portata del cambiamento che tra poco descriverò, bisogna prima capire cosa c'era ante 1992.

Il sistema svedese era un meccanismo fortemente orientato all’equità, costruito su quattro macro pilastri che avevano il nobile obiettivo di minimizzare le differenze tra gli studenti e le studentesse in fase adolescenziale:

La logica era chiara: dare di più a chi aveva di meno. Uno dei migliori prodotti del modello socialdemocratico nordico. Per queste ragioni, a quel tempo la Svezia era considerata un'eccellenza mondiale. 

La storia a volte sembra un disco rotto: quando tutti stanno bene, c’è sempre chi inizia a soffrire perché decide di non avere abbastanza. E così, all’improvviso, arriva la riforma fatale.